La solitudine dei cannoni
Mi ha sempre impressionato la storia dei cannoni di Essaouira perché non ha nessun senso. Disposti in fila lunga quella passeggiata meravigliosa, e mai utilizzati. Ha qualcosa di romantico o di surrealista, non so spiegarlo. Sembrano persone, e ricordano le figure dipinte da Edward Hopper alla stazione della pompa di benzina o dietro le vetrine dei bar americani. Sa quasi di sottile presa in giro agli occhi del visitatore, quei cannoni che aspettano tanto, ma tanto, da non so quanti secoli, che alla fine diventano ridicoli. E i pirati che non sono mai arrivati, perché non ci pensano nemmeno a sfidare quel mare tremendo e quelle rocce e quel vento che soffia quasi sempre come un pazzo.
E le persone, gli stessi abitanti di Essaouira, che si mettono sui bastioni come i cannoni a contemplare quello spettacolo incredibile, che si ripete tutti i giorni, di luce e vento e maestosità. E si annoiano, e tutto prende quell’energia strana di decadenza.
Essaouira, va detto, è spezzata in tante parti, non è un blocco unico. La Medina bellissima, bianca e blu, coi vicoli stretti e il flusso di gente che se non opponi resistenza ti porta via come un fiume, ti conduce. La passeggiata, grande come un paesaggio e non a misura d’uomo, ma fatta per l’uomo, come se l’architetto fosse stato un gigante. E infine la spiaggia prima della città, coi ristoranti in fila uno dietro l’altro, dove si mangia pesce e si può bere vino bianco, e ci sono ancora vecchi intellettuali scappati lì, rimasti lì da chissà quanto. Con un senso di decadenza inimmaginabile e di sottile fascino. Stanno lì ad aspettare la morte, fumando e leggendo, con una certa coerenza e convinzione, di fronte al mare, sconfitti, piuttosto ricchi, quasi tutti tristi, quasi tutti francesi, che stanno lì a godersi la sconfitta, o almeno a provarci. Con grandissima classe come i cannoni. Quando arrivai lì non vedevo l’ora di bere vino bianco freddo, lo trovai e fui contento.